SAN LUCA IL GRAMMATICO
Prefazione
La presente traduzione testifica delle realtà storiche inconfutabili. Oltre ai semplici fatti politici dell’invasione normanna in Italia Meridionale, i fatti narrati fanno emergere una prassi religiosa ed ecclesiale che nell’XI secolo era ancora viva e fiorente. L’Italia Meridionale dell’XI secolo (Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia), pur rivendicata dal patriarcato di Roma, non vi apparteneva dal momento che rientrava nella giurisdizione del Patriarcato di Costantinopoli. La popolazione e la Chiesa erano profondamente legate all’impero romano-orientale e sentivano Costantinopoli come la loro capitale. Non si trattava di sottomissione culturale, dal momento che queste popolazioni erano in tutto affini a quelle romee. L’Italia Meridionale dell’XI secolo testimonia pure un modo di essere Chiesa profondamente differente da quello che si stava imponendo in Europa occidentale per mano franco-germanica. I barbari contribuirono all’imposizione di un modello feudale verticistico di Chiesa in luogo del modello comunionale vigente in tutta l’antichità cristiana e l’alto Medioevo. Così, da un certo punto in poi, emersero nella sede del Patriarcato romano, delle rivendicazioni di potere del papa su tutta la Cristianità, rivendicazioni che precedentemente non erano neppure concepibili. È a questo tipo di concetto che san Luca il grammatico si oppone, dal momento che sente totalmente articifioso ed innaturale l’imposizione di una prassi ecclesiastica che non gli appartiene e non è neppure tradizionale. La polemica contro la Romana Ekklesia, lungi dal nascere dall’odio, sorge dal dolore di dover soggiacere poco a poco, attraverso mezzi più o meno violenti, a qualcosa che è totalmente contrario a quello spirito di libertà nel quale può fiorire il cristianesimo. Presentare questo santo completamente sconosciuto significa pure osservare come la prassi ortodossa, lungi da esser qualcosa di “orientale”, esotico ed estraneo era ben radicata anche in territorio italiano.
Introduzione
Luca nacque nella prima metà dell’XI secolo in provincia di Reggio di Calabria, nella Regione delle Saline (grosso modo, il territorio tra Bagnara, Oppido, Nicotera), precisamente a Melicuccà, e sin da piccolo fu avviato agli studi sacri.
A quel tempo era Arcivescovo di Calabria e Sicilia il metropolita Nicola di Reggio. Conoscitore anche della lingua latina e dei Padri latini, attorno al 1036, in alcuni suoi libri, Nicola ha lasciato interessanti appunti sulle eresie cattoliche e quello che sembra 1’abbozzo[1] di un trattato sulla legge latina del celibato ecclesiastico che egli, monaco[2], ritiene contraria alla Sacra Scrittura e inumana.
Su Luca, però, maggiore influsso avrà avuto Nicola. attorno al 1050 vescovo della vicina Sant’Agata (Oppido) al tempo in cui i Franchi invasero le province occidentali dell’Impero Romano (l’Italia Meridionale). Proprio la Regione delle Saline fu crudelmente devastata: incalcolabile è il numero dei caduti in guerra o a causa della carestia (i Normanni facevano terra bruciata) o del colera e altre malattie. Si tentò di fare pane macinando ghiande, cortecce e radici, ma questo impasto ostruiva l’intestino e le madri preferivano vedere i bambini morire d’inedia anziché tra atroci spasmi[3]. La sventurata popolazione trovò rifugio e sollievo solo nel vescovo Nicola di Oppido tanto che questi, dopo la morte, fu subito venerato al 13 dicembre come santo e Nuovo Taumaturgo per distinguerlo dall’altro e più celebre Nicola, padre e difensore dei deboli e dei poveri, festeggiato sette giorni prima[4].
Oppido cadde nel 1059. Nell’agosto dello stesso anno Roberto, detto il Furfante, e il Papa di Roma Nicola II firmarono un patto a Melfi: l’uno legittimava l’invasione e il nascente Stato Normanno, i Franchi si impegnavano a sottomettere la Chiesa Ortodossa ai romano-cattolici.
In quegli anni tremendi, Luca era monaco e sacerdote del Monastero delle Grotte, fondato presso Melicuccà da sant’Elia lo Speleota[5] e, mentre infuriava la brutale cattolicizzazione dell’Italia Meridionale, fu consacrato vescovo per colmare in qualche modo il pauroso vuoto che si veniva creando nella gerarchia ortodossa. Per esempio, il vescovo Nicodemo fu fatto rientrare a Palermo ma poco dopo fu eliminato: il vescovo di Catania (o Taormina) fu costretto alle dimissioni: il vescovo Stefano di Acerenza era caduto in guerra: l’Arcivescovo Basilio di Reggio fu espulso e al suo posto si insediò un cattolico simoniaco: i metropoliti di Rossano e Santa Severina (forse senza valutare tutta la portata della loro apostasia) si unirono a Roma: in pochissimo tempo i Franchi insediarono quasi ovunque vescovi cattolici o crearono nuove diocesi insieme a grandi e potenti fondazioni monastiche benedettine alle quali vennero poi assoggettati i monasteri ortodossi.
Così Luca fu vescovo con una sorta di immunità, esenzione (in greco: asilìa) per curare pastoralmente tutti gli ortodossi[6] tra Nicotera e (almeno) la provincia di Messina: forse trovò rifugio (in gr.: àsilo) in qualche monastero dell’Aspromonte o della stessa Regione delle Saline[7].
Per più di 45 anni Luca si logorò per celebrare sinodi, raggiungere i suoi fedeli con lettere e di persona, percorrendo tutta la Calabria e la Sicilia per ordinare sacerdoti, consacrare chiese, incoraggiare il popolo a restare fedele alla Chiesa Ortodossa: morì il 10 dicembre 1114 e, come testimoniano i manoscritti liturgici, fu sepolto a Solano (sopra Bagnara Calabra). Successivamente, alcune sue reliquie e, forse, una copia della Vita furono portate nel Monastero della Trasfigurazione del Salvatore che un tempo sorgeva sulla lingua di terra che da Messina si protende verso la costa calabra.
Restringendosi la grecità della provincia di Reggio sempre più verso il versante ionico, un 5 ottobre d’un anno imprecisato (forse durante o poco dopo la Guerra dei Vespro) il corpo di san Luca fu posto in salvo nella cattedrale di Bova[8]: fu così che, con il tempo, alcune omelie di san Luca furono attribuite a un fantomatico “Luca di Bova”[9].
San Luca fu conosciuto con il titolo di Grammatikòs, Letterato (dalla trascrizione di alcune sue omelie sappiamo che lui si schermiva, dicendo per umiltà di non esserlo affatto), ma non ci è rimasta alcuna sua opera. Infatti, di san Luca sono stati distrutti quasi tutti i ricordi, iniziando proprio dalle reliquie, tranne che (e in parte) la Vita, conservata in un solo manoscritto, il Messinese Greco 29 (fogli 245\51). Si tratta di un codice pergamenaceo[10], scritto nel 1308 dal monaco Daniele, che contiene, come il Mess. Gr. 30 di cui è continuazione (la numerazione è invertita), Vite di santi o Discorsi per le loro feste: è dunque un Menologio che fu molto usato nel monastero messinese, come indica il Typikòn dello stesso, conservatoci in un manoscritto (Mess. 115) del XIII o XIV secolo (con aggiunte posteriori).
Daniele era un bravo calligrafo ma scriveva più di duecento anni dopo la cattolicizzazione dell’Italia Meridionale e chi dettava a lui non era molto più istruito, perciò è molto comprensibile che gli errori, soprattutto di iotacismo, non si contino: ma anche l’originale, scritto probabilmente in qualche monastero della Calabria poco dopo la morte dei santo[11], è testimone della progressiva decadenza culturale degli ortodossi dell’Italia Meridionale dopo la conquista normanna. La lingua è infatti povera, molti sono gli errori grammaticali e scorretta è la sintassi[12]: traducendo, di proposito non ho tentato di dare una forma più elegante a un testo d’una semplicità disarmante, limitandomi a qualche indispensabile integrazione tra parentesi quadre.
La copia di Daniele è mutila: qualcuno (per motivi intuibili) strappò almeno due fogli dopo il f. 248 (miracoli 8-10) e uno o più fogli dopo il f. 251 (dal miracolo 19 alla fine) e tutti gli studiosi che per secoli ne presero visione, scartarono con cura la Vita di san Luca[13]; qualcuno mise addirittura in dubbio che l’ultimo foglio ne facesse parte[14]. Solo nel 1887 si conobbe un breve riassunto della Vita[15] e, nel 1895, uno studioso ne iniziò la pubblicazione in un piccolo giornale locale, ma dopo la prima puntata (due sole pagine!) qualcosa o qualcuno ne impedì la continuazione[16], sicché la presente edizione può essere ritenuta inedita[17].
VITA E OPERE
DEL VENERABILE PADRE NOSTRO LUCA[18]Benedici, padre.
È giusto esporre con grande chiarezza le vite dei devoti e santi padri, incidere nei nostri cuori induriti le loro virtù e le lotte che hanno affrontato per volere di Dio e depositarle nei cuori dei fedeli. È bene raccontare le loro vite, perché non sia dimenticato tutto il bene che hanno fatto. Molte sono le preoccupazioni d’ogni giorno e le passioni carnali, ma il Signore, datore di beni e dispensatore di misericordia, non delude chi lo cerca. Egli, infatti, dice: “Cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”. Egli si è incarnato e ha voluto soffrire di tutto per noi e per la nostra salvezza, per riportarci all’archetipo[19].
II Signore nei divini vangeli dice: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori alla conversione, e sono come un raggio di sole che penetra da uno spiraglio per illuminare chi giace nelle tenebre, portandogli una gioia stupenda”. Tutti, appena vedono il sole, s’inebriano di luce e pensano al nuovo giorno: i contadini, a lavorare la terra, arare e seminare; i militari si preparano a combattere; i pastori a pascolare mentre riposano presso le sorgenti: suonano il flauto e, con la verga, tengono radunato il gregge e vanno alla ricerca della pecora smarrita perché non diventi preda delle belve. Così la Grazia divina illumina la mente di chi piega la propria volontà e la spinge a una sempre più alta contemplazione.
Riportando la vita e la memoria del nostro santo padre Luca, consideriamo quel che dice l’indimenticabile [apostolo Paolo]: “Ricordatevi dei vostri padri spirituali che vi hanno annunciato la parola di Dio: guardate la loro vita e imitatene la fede”. Dal loro ricordo ricaviamo infatti il vantaggio di potere ascendere al nostro Signore che essi vollero glorificare.
Essi sono stati agricoltori, soldati, pastori, piloti e commercianti. Agricoltori, perché hanno piantato cuori secchi nella spirituale vigna di Cristo, hanno sparso il seme della verità, hanno sradicato le spine impure della vita, hanno piantato i dogmi divini, hanno arato con la fede, hanno mietuto più del seminato e si sono arricchiti nel cielo. [Sono stati] soldati, perché hanno sconfitto il nemico e liberato quelli che lui aveva trascinato nella schiavitù del peccato, hanno trionfato sul suo esercito e mutato in salvezza la nostra disfatta, hanno spento le frecce infuocate e guarito coloro che lui aveva ferito: gli hanno fracassato la testa e lo hanno ridotto senza più forze. [Sono stati] pastori, perché hanno guidato il gregge del Signore e hanno scacciato gli eretici lupi, guidati dal Signore e seguiti dal loro gregge spirituale. [Sono stati] piloti, perché hanno governato la Chiesa con la professione della fede e l’hanno ancorata sulla pietra, in Cristo[20], hanno vinto il mare delle passioni e sottomesso, sommerso, il Faraone della mente: hanno pilotato la barca e non ne hanno perduto il carico. [Sono stati] commercianti, perché si sono venduti il mondo e si sono acquistati la perla che è Cristo, hanno incassato la fede e si sono trasferiti nel cielo, hanno annullato le passioni e hanno dato vita all’anima, hanno eliminato l’ombra e illuminato il mondo.
E ora inizio a raccontare.
In Calabria c’è un paese, chiamato Melicuccà, dalle parti delle Saline. Qui fiorì e diede buoni frutti il nostro prodigioso padre, il beato Luca: suo padre era Ursino e la madre Maria, ortodossi di splendida vita. Da piccolo, fu affidato[21] dai genitori al maestro per apprendere le sacre e divine realtà e sin da ragazzo si preparò ad abbracciare la vita monastica. Così raccolse i beni del monachesimo: frenò la fame, dominò la concupiscenza della carne, disprezzò ogni illusione mondana, apprese la Preghiera continua[22], il digiuno e l’apprendimento delle parole divine. Aderì con passione all’amore, origine di ogni virtù, e di esso era rivestito con grande umiltà: al solo vederlo, molte anime amanti della penitenza furono spinte a raggiungere la virtù.
Così vivendo, e preceduto dalla grande fama della sua virtù, viene innalzato all’eccelso grado del sacerdozio e inneggia al Signore nel coro dei sacerdoti. Ciò non avvenne d’un colpo, né fu subito sacerdote del Signore: inizialmente fu impegnato in diversi gradi, distribuendo degnamente la sua virtù, come testimoniato da tutti. Ascese quindi alla grande carica di Sommo Pontefice, sul trono della Grande Chiesa[23]. Impugna egli il timone della Chiesa e il trono riceve il degno[24] apparso irreprensibile (come dice Paolo), il grande e sapiente vescovo. Come un ottimo pilota, scrutò profondamente il Signore, attento ad affrontare le tempeste del peccato per fare approdare le anime dei naviganti al porto di Dio. Era infatti misericordioso, compassionevole, ospitale, estraniato ma sempre disponibile; con la sua parola rallegrava le anime più che il vino: il popolo che a lui accorreva, veniva beneficato e ciascuno tornava alle proprie case rendendo grazie a Dio. Era misericordioso, compassionevole, ospitale, maestro disponibile a tutti: praticava 1’esicasmo.
A tutti, specialmente ai monaci, diceva di non mangiare fuori pasto e a sazietà ma di trattenere i morsi della fame, di odiare l’inattività perché causa di molti mali, di avere sempre qualcosa da fare, come dicono i sacri salmi. Se qualcosa di male, la zizzania, il nemico di tutti ha seminato nel vostro cuore, [diceva di] strapparlo con il digiuno e con la spada della Preghiera continua, perché non ci sia dove possa germogliare l’amaro frutto dell’autodistruzione. Perciò insegnò l’amore per gli uomini e, infatti, diceva: “Se potete, non lasciate a mani vuote chi bussa alla vostra porta, perché non ignoriate Cristo che si presenta come mendicante”. Anche il divino apostolo dice: “Non trascurate l’ospitalità: alcuni, senza saperlo, rifiutarono angeli”.
Queste cose insegnava e spiegava al popolo, e bisognava vederlo come viaggiava spesso per insegnare nelle città, nei paesi, nelle chiese dei santi. Soprattutto nelle loro feste si alzava, predicava e spiegava con chiarezza i prodigi che per mezzo loro compì il vittorioso Signore.
Soprattutto nelle feste del nostro santo padre Elia lo Speleota, a causa della grande moltitudine di popolo che si riuniva lì, [a Melicuccà], predicava, ammoniva, insegnava a non essere sregolati, a non rubare o desiderare le cose degli altri e a essere contenti di quello che si ha.
1. Queste cose affermava e gridava a tutto il popolo e così educandolo si poteva vedere come veramente il pastore pascolava il gregge in Cristo Gesù nostro Signore.
Non privò la Sicilia del suo insegnamento: traversò il mare, si mise in cammino, percorse quella terra pericolosa a causa degli atei nemici che vi si erano insediati[25]. Non fece caso alle loro parole e in tutta l’Isola annunciò la salvatrice parola di Dio, fermandosi nelle città per ordinare sacerdoti.
Così fece e tornò alla sua sede. Partì da lì, volendo rifugiarsi nella Capitale [Costantinopoli]. Giunto a Taranto, non trovò d’accordo Colui che tutto conosce prima della nascita e fu costretto a tornare in Calabria, da dove era partito[26]. E andava ovunque e in ogni città e faceva prodigi per mezzo della Grazia di Cristo: proprio questo fu lo scopo di vita del nostro venerabile padre Luca.
A voi che volete sapere, ecco i prodigi e le stupende cose che, prima della morte, con abbondanza [fece il nostro] grande nella virtù.
Mentre andava verso il nord della Calabria[27], giunse sulla spiaggia del Medimo[28] e vide alcuni pescatori che lavavano le reti. Per otto giorni avevano faticato a pescare ma non avevano preso niente. Il nostro venerabile padre disse: “Salute! La guardate voi questa barca? Amici, non lasciateci a mani vuote”. Ed essi, con il dovuto rispetto, gli riferiscono l’inutilità della loro fatica e come non avevano potuto avere fortuna. Il vero discepolo di Cristo, compassionevole, volendo venire incontro ai loro pensieri, con l’evangelica frase del Signore disse: “Non esitate, scacciate dall’anima ogni preoccupazione, gettate le reti dalla parte destra della barca e troverete”. Sulla sua parola, calarono le reti e presero pesci in abbondanza e bastarono per tutti i paesi vicini. Stupore e ammirazione ebbero tutti quelli che videro quello straordinario spettacolo e tutti davano gloria a Dio, dicendo: “Oggi abbiamo visto prodigi”.
2. La mucca di un agricoltore aveva partorito in un campo e aveva corrotto e contaminato il grano[29]. I1 contadino, quando vide la fatica delle sue mani corrotta dal parto della mucca, uccise il vitello. Il padrone della mucca, appena lo vide morto, chiese ragione al contadino, dicendo: “Uomo, perché hai ucciso il mio vitello? Rendimelo e ti pagherò il grano impuro”. Negando e spergiurando, quello disse: “Non ho visto niente, io non c’ero”. L’agricoltore, vedendo la derisione e la beffa, va dal santo per lamentarsi e dirgli il danno subìto essendogli stato ucciso il vitello. L’avvocato dei buoni, preoccupato di tutti e due, andò da quell’altro e con viso sereno gli disse: “Dimmi se l’hai fatto apposta o per sbaglio e io ti difenderò e farò ciò che conviene a tutti e due”. Ma quello, anche se lo coscienza lo condannava, negò, pensando di nascondere [il fatto] a Dio che conosce tutte le cose prima che esistano. Di nuovo, presolo con sé, ammonendolo gli disse: “Dimmi quello che hai fatto e sarai perdonato”. Ma quello, ripetendo, rispose: “Niente so, io non c’ero, non mi seccare, padre”. E il nostro venerabile padre gli disse così: “Se tu avessi detto il vero, avresti avuto il perdono: poiché non riconosci la colpa e sei sfrontato verso di me, come tu stesso hai giurato, si secchi la mano che ha fatto questo”. A questa parola, all’istante la mano si seccò e quello restò con la mano paralizzata, denunciando da sé la propria prepotenza e lo spergiuro.
3. C’era un uomo di Bovalino che da anni era molto malato di ritenzione e non poteva urinare affatto oppure urinava poco con molto dolore e fatica. Aveva speso assai per i medici, non era riuscito a trovare scampo. Avvenne che il nostro venerabile padre Luca, mentre era in viaggio, si fermò in quella città e tutto il popolo accorse a lui per trarne giovamento. Accorse pure quell’uomo, si gettò ai piedi del santo e, piangendo, supplicava di essere liberato da quella sua sconsolante e terribile malattia. Il santo, commosso dalle sue lacrime, volse gli occhi al cielo e così iniziò: “Sovrano Signore Dio nostro, tu hai creato l’uomo a tua immagine e somiglianza e gli hai dato potere su ogni cosa. Quando egli cadde a causa del peccato, non lo hai abbandonato ma hai disposto per lui la salvezza con l’incarnazione del tuo Cristo. Tu conosci l’infermità della nostra natura: guarda questo tuo servo e liberalo dalla malattia fisica che lo domina, perché tu sei benedetto nei secoli. Amìn”. E gli disse di alzarsi: “Ti sia fatto secondo la tua fede”. Subito finì la sofferenza e se ne andò ringraziando e lodando Dio, amìn.
4. Nella stessa città, lo spirito impuro entrò nella casa di un tale e da un anno gettava fuori tutto quello che trovava. Quell’uomo era molto preoccupato e non sapeva che fare. Corre e si presenta al nostro venerabile padre, raccontando cosa faceva il diavolo in casa sua. Lo incoraggiò ad avere fiducia: “Credi nel nostro Signore Gesù Cristo e ti salverai, tu e la tua casa”. Poi prese una carta e tracciò il segno della preziosa e vivificante croce, sulla stessa carta scrisse i nomi dei quattro evangelisti e la diede all’uomo, dicendogli di metterla in mezzo alla casa. Così fece e da quel momento il demonio maligno non poté più annidarsi nella casa di quell’uomo.
5. Da due anni un lupo straziava la gente di Squillace e tutta la zona era atterrita e afflitta per la ferocia di quella bestia. E ciò con il permesso di Dio, perché convertendosi si salvassero. Dice infatti il divino David: “Molti i flagelli del peccatore ma chi spera nel Signore la misericordia lo circonderà”[30]. Si rifugiano allora dal nostro comune padre[31], supplicandolo e pregandolo di liberarli da quella piaga calamitosa. Egli, vero pastore che custodisce il gregge del Signore, non solo li liberò da quell’orribile belva, li liberò anche dalla bocca del leone spirituale. Ordinò loro, come medicina, il digiuno e la confessione, li infervorò per tre giorni e il mattino successivo li riunì tutti e si diresse verso la Grande Chiesa[32]. Intanto tutto il popolo cantava: “Kirie eleison!” e “Cristo, che hai ineffabile amore per gli uomini...”. In quella stessa ora l’animale uscì e si mise a seguire una bambina che portava un orcio d’acqua. Entrata in casa la bambina, la seguì senza che se ne accorgesse. Subito la porta[33] della casa si chiuse da sola e la bambina si rifugiò nella stanza più interna, protetta dalla Grazia divina. Vedendo questo, [alcuni] corsero alla porta della bambina e uccisero la bestia. Lo riferiscono al santo, che pregava insieme al popolo: “Per le tue sante preghiere l’animale è stato ucciso”[34]. Tutti glorificarono Dio che fa la volontà di quelli che lo temono.
6. La siccità dominava nella terra dei Mesi[35] e, come al solito, c’era [san Luca]. La gente del posto, tutti insieme andarono a riverirlo e gli raccontarono la disgrazia che subivano. Egli, con gli occhi dell’anima immersi nella visione di Dio, sorridendo rispose: “Clero tutto e popolo, preparatevi e domani mattina nel Signore Dio faremo una Litì sino alla chiesa della purissima Madre di Dio al Faro[36], ed è possibile che il Signore ci dia la pioggia e ci liberi dalla calamità”.
Senza discutere affatto, in fretta si prepararono a partire secondo il suo ordine. E il santo [esortandoli ad avere] più fede e coraggio, disse: “Non vedete quanta pioggia c’è?” e con la mano e gli occhi indicava il cielo. Ma loro vedevano che il cielo era chiuso e dicevano al santo: “Signore, ma dove vedi la pioggia?”. Credevano che egli vedesse con gli occhi materiali e non con quelli spirituali: nessuno di loro aveva così puri gli occhi spirituali dell’anima.
L’indomani uscì con tutto il popolo, in processione verso la chiesa della santissima Madre di Dio del Faro. Lì giunto, celebrò il divino e incruento Sacrificio e, finita la preghiera, disse: “Mangiate subito il piccolo [pezzo di] pane[37] e tornate di corsa alle case, al paese; la voce di molta acqua è giunta al mio orecchio”[38].
Dopo le parole del santo, chi aveva creduto [riuscì] a sfuggire la minaccia della pioggia, ma quelli che con stupida razionalità avevano creduto al cielo sgombro di nuvole, sulla strada dovettero affrontare grandi pericoli a causa della violenza dell’acqua e dei ruscelli che erano diventati torrenti.
Ma chi avrà la forza di esaltare la miriade di prodigi che Dio operò per mezzo suo? Nella Grazia non fu secondo a Eliseo ma, come lui rese fertile con la preghiera l’utero della Somanitide che ebbe un figlio, così anche questo [santo] donò con la preghiera due figli a una sterile.
7. C’era un calabrese, un musicista, che aveva un figlio e una figlia a cui diede marito. Questi si stabilì nel paese dei Mesi. Dopo poco, il genero andò a trovare i suoceri e il vecchio [suocero] lo prese e gli disse: “Figlio, andiamo a riverire il santissimo vescovo, perché è qui”. E andarono contenti a salutarlo. [San Luca] li accolse con gioia e li benedisse: “Stefano (così si chiamava il vecchio), da dove viene questo giovanotto?” Aveva il carisma di prevedere: parlò per primo per spingerli a ricordargli il problema della mancanza di figli. Il vecchio rispose: “Questo è quello di cui ti ho parlato molte volte, il marito di mia figlia. È buono, ma non può avere figli dalla sua donna che è sterile. Sono passati sette anni da quando si sono messi insieme e si sono uniti al tempo giusto e secondo le sante leggi. Se potrò avere un erede, darò tutte le mie sostanze a mia figlia e starò con i miei figli”. E il santo padre disse al giovanotto: “Non preoccuparti, il Signore non ti lascerà vivere senza figli ... ... tra gli empi[39]. E secondo la promessa del santo, il male scomparve.
11. Dalle sue parti ci fu una discussione con i cattolici sull’uso del pane fermentato oppure azzimo [per celebrare l’Eucaristia]. Il santo li subissò con una infinita quantità di prove tratte dalla Scrittura: infatti, nell’Antico [Testamento], Melkisedek portò al sacrificio pane e vino. E con questa, molte altre [prove]: “Nel [Grande Giovedì] lo stesso Salvatore e primo sacerdote, nella divina Cena, prese “pane” (dando un esplicito esempio), lo benedisse e lo diede ai discepoli, dicendo prendete, mangiate. Riempito il calice, disse: Bevetene tutti[40] e Ogni volta che mangiate e bevete, celebrate la mia morte e annunciate la mia resurrezione. Ma voialtri cattolici, ipocriti farisei, celebrate come i Giudei, senza lievito: battezzate in qualsiasi giorno[41] e credete un incredibile numero di eresie perché non pensate con ortodossia”.
Così parlando, li spinse alla rabbia estrema. [I cattolici] fecero una capanna, lo trascinarono dentro per bruciarlo vivo. Ma il santo li supplicò: “Sacrificatemi nel fuoco, ma datemi un poco di tempo per celebrare l’incruento Sacrificio”. Gli fu permesso, entrò nella capanna con un fanciullo, fece la pròtesi[42] e iniziò a celebrare i Sacri Misteri. Ma non gli lasciarono il tempo di finire la celebrazione sacra a Dio: diedero fuoco ai quattro angoli della capanna. E il fuoco divorò tutto ma non toccò neppure un pelo del santo. Egli apparve con le sacre vesti, in mezzo [alle fiamme], in preghiera con il fanciullo, illeso e incolume. Gettò gli eretici nella vergogna e nel timore, incitò gli ortodossi a dare gloria[43].
12. Una divina rivelazione gli fece sapere che il giorno della partenza del suo corpo era alle porte. In fretta raggiunse il monastero del monte Viotirito[44] e chiamò i vescovi della zona[45], gli igumeni e i rappresentanti del clero da lui stesso indicati[46]. Esprime le sacre volontà, dicendo: “Figli e fratelli miei, ora torno a Dio, è giunta l’ora della mia liberazione. Finché c’è tempo, pensate alle vostre anime: non serve a niente il pentimento dopo la morte[47], lì c’è il tempo della ricompensa, qui la fatica e la lotta. Nel tempo presente, anche se c’è qualcosa di piacevole, che rallegra la vista e soddisfa la gola, tutto scorre rapidamente e finisce nel nulla. Anche se c’è sofferenza e pena, rapidamente si dissolve il dolore[48]. Nel futuro, la gioia è eterna, eterna è la sofferenza. Tenetevi saldi nella fede ortodossa, per resistere a ogni pericolo: sia pura e purificata la vostra vita e preoccupatevi di santificare il corpo perché in voi, templi immacolati, scenda e abiti il Puro [Santo Spirito] e colmi l’anima con la sua santificazione e il suo aroma.
Male è l’ira e la collera e ogni cosa che offende il fratello: conservate sempre la pace e la mansuetudine. Se tra voi capita uno scandalo, non lasciate che tramonti il sole ma chiarite subito. Se nella vostra anima spirituale è stata seminata la depravazione, lottate per estirparla, così che vi sia più facile eliminarla. Prendete le armi [per questa lotta]: il digiuno, la preghiera, il pianto, il ricordo della morte e della Geenna. La più forte e tremenda [arma] contro il nemico è la beata umiltà. Questi pensieri sono una sicurezza contro la morte [spirituale].
Sorvegliate i sensi, soprattutto occhi e orecchie: da quelle porticine passa a noi la morte. Niente rovina e corrompe più della superbia. Il divino apostolo dice: “Chi sta in alto, stia attento a non cadere”. [Si deve] giudicare il fratello con il più grande rispetto possibile. Nasce dall’anima superba, farisea, giudicare e adattare agli altri la propria misura. Non dimenticate l’amore per il forestiero: ospitandolo, lavategli i piedi con discrezione, così vuole Cristo, l’ha fatto per primo e ci ha comandato di seguirlo [nel fare] come lui. Molte altre cose trovò il Creatore e Salvatore delle nostre anime: il pianto, i lamenti, il tormento del cuore, il digiuno, la preghiera, l’umiltà e ogni medicina di conversione ha indicato l’Amico degli uomini. Tutte cose faticose ma che giovano assai. Tra questi una facilissima ma potentissima: perdonare a tutti i peccati”.
Queste cose e molte altre simili insegnò ai fratelli e ai discepoli, invocando la salvezza dell’anima, e li benedisse. Si distese dentro la chiesa del nostro venerabile padre Nicola, che aveva costruito sul predetto monte Viteorito, tirò i piedi e rese l’anima beata che gioisce tra i buoni che si rallegrano: la consegnò agli angeli mattina di giovedì 10 dicembre 6623 (= 1114), indizione ottava. Proprio in quel momento, come ci hanno spiegato i venerandi padri che hanno visto, degni di fede, apparve un bastone vescovile, come di fuoco, che scendeva dal cielo e splendeva sino alla porta della chiesa dove era deposto il suo santo corpo. Questo era presagio della futura Energia divina del santo Spirito e della Potenza [che si sarebbero manifestate] in quel posto, come ci dimostrò e confermò la Forza e l’Energia dei suoi divini miracoli[49].
Come giusto, mani sante lo deposero nella tomba, per la vita che non va in scadenza, dove è lontano il dolore, la tristezza, il gemito, dove ai puri nel cuore si manifesta faccia a faccia la divina Trinità, dove chi può dire la gioia e l’esultanza?, dove c’è consolazione e riposo per quelli che hanno lavorato nella bella vigna, dove è la casa di tutti quelli che gioiscono.
Un mare di sacerdoti e una folla immensa ci fu al funerale del divino padre, per il piacere di vedere i miracoli che Dio faceva per mezzo di lui, per cui a tutti era conosciuto e famoso. Molti afflitti da varie malattie, al solo toccare la sua salma prodigiosa, in un attimo se ne andò la malattia.
Raccolti alcuni fatti, li racconterò (per come è possibile alla natura carnale) alle vostre orecchie che amano le cose divine. Alcuni, ve lo giuro, li ho visti con i miei occhi (come gli apostoli) verificarsi nello stesso momento in cui il suo splendido corpo fu affidato alla terra.
13. Nicola, un sacerdote di Seminara, malato di idropisia, seriamente travagliato e afflitto dalla gravità della malattia, fu portato con una barella, perché lui e i suoi conoscenti avevano una incrollabile fede in Dio e nel santo. Arrivato e baciato il cadavere incorrotto, con lamenti di cuore e lacrime, innalzò a Dio inni e canti di preghiera e gli facevano coro i divini uomini che erano lì[50]. Prima che l’inno, la preghiera, finisse, rispose alla sua supplica Colui che in fretta accorre in aiuto di chi lo invoca, lo guarì completamente. E tornò con i suoi piedi a casa, glorificando con canti Dio e ringraziando il santo.
14. Dopo la sua beata sepoltura. [C’era] una coppia di Casiano[51] che si rispettavano, ubbidienti ai comandamenti di Dio. Il diavolo, nemico dell’uomo sin dall’origine, che vede di malocchio la nostra salvezza, volle distruggere la loro buona e cristiana convivenza. E lo fece: penetrò nell’uomo e vi stette un anno. Sconvolto dal maligno demonio, si rifugiò nel Monastero della purissima Madre di Dio, Regina nostra, detto Vatino[52]. Lì fu rasato e viene aggiunto a quei [monaci]. Liberato dall’impuro demonio, dopo qualche tempo quell’uomo andò al suo paese insieme all’igumeno e appena i suoi conoscenti lo videro, dicono alla sua ex moglie che il suo uomo era guarito. Lei si alzò e appena la vide il demonio che era uscito da lui, la possedette e vi restò tre anni. Sprecò con i medici assai, senza avere la fortuna di essere liberata. Sentì [parlare] del venerabile nostro padre Luca, che molti miracoli fece il nostro Signore Dio per mezzo suo. Alzò gli occhi e le mani al cielo: “Dio, abbi pietà di me peccatrice, non abbandonarmi nei miei peccati, non gettare alle belve l’anima che si apre a te! Per le preghiere di Luca, tuo guaritore, guarda l’indegna tua serva e liberami dall’impuro demonio”. Disse così, piangendo, e il demonio la fece a pezzi e la getta con violenza a terra. Subito, con una divina manifestazione, si manifesta a lei il venerabile nostro padre Luca e le dice: “Ecco, adesso è stata dissolta la tua sofferenza. Ma raggiungi in fretta la montagna, il Viotirito, e lì riceverai la guarigione totale”.
Disse queste cose e sparì ai suoi occhi. Ripresasi, fece la strada e raggiunse il monastero in cui riposa il corpo [di san Luca], si getta [a terra] piangendo, ringrazia Dio e il santo, dicendo: “Gloria a te, santo di Dio! Sei venuto, sei stato presente e sono stata liberata dall’impuro demonio”. E si mise a raccontare la visione e come il santo le aveva ordinato di andare da lui. Le tagliarono i capelli del capo e prese il santo abito. Ottenne la totale guarigione dell’anima e tornò dalle sue parti glorificando Dio e il santo[53].
15. Un sacerdote del Monastero [del Salvatore] di Plaka[54] aveva il corpo così gonfio che non poteva essere toccato o sfiorato. Venne alla tomba del santo, si getta a terra e prega, chiedendo la fortuna di essere guarito. Dopo molte preghiere, fu sopraffatto dal sonno. Vide se stesso, morto e sepolto vicino al cadavere del santo. In sogno vede il santo che gli dice: “Chi sei e da dove vieni?”. E lui rispose: “Come vedi, santo di Dio, sono qui deposto, morto, senza voce e senza energia”. Il santo: “Vuoi che ti faccia risuscitare nella Potenza dei mio Cristo?”. E quello: “Se non mi cacci perché indegno, per questo sono venuto”. E [san Luca]: “Nel nome del Padre e del Figlio e del Santo Spirito, risuscita!”. E lo prese per mano, lo fece alzare e gli disse di andare nel vicino monastero della Madre di Dio, dove c’era stato una volta nella sua vita. A1 vederlo, i monaci che erano lì, gli chiesero chi lo avesse portato lì morto. E lui spiegò come in sogno era apparso il santo e come lo aveva risuscitato. Questo il sacerdote raccontò ai monaci, sognando. Poi si svegliò e (miracolo!) vide che era completamente guarito. E tornò [al suo monastero] glorificando Dio.
16. Un Franco di Briatico, Revetos: il santo, in vita lo aveva scongiurato di non opprimere i sacerdoti [ortodossi], di non perseguitarli, e quello non sopportava le sue parole. Gli venne un accidente e lo portò in fin di vita: si ricordò degli insegnamenti del santo e appena vide l’inferno, di corsa si rifugiò presso la tomba del santo, promettendo e firmando che, da quel momento, i nostri sacerdoti sarebbero stati tranquilli e protetti da qualsiasi soverchieria. Questo giurando e molto di più promettendo, per le preghiere del santo, il nostro Dio, Signore dei miracoli, lo guarì e lo colmò di ogni cosa. Dopo poco, dimenticati i giuramenti e le promesse, con più grande violenza perseguita i sacerdoti. Il dolore ritornò sulla sua testa e gli cadde tra capo e collo. Un male peggiore del primo lo afferrò e gli sciolse le membra e giacque come morto, muto, abbandonato dall’aiuto di Dio e del santo, perché aveva rinnegato le promesse e i buoni giuramenti: perché si convertisse e fosse salvo.
17. Cristodulo, che era paralizzato, fu portato a spalle sino alla tomba [di san Luca]: dopo otto giorni si alzò, se ne andò e camminò salutando e glorificando Dio e il santo. Viene rasato e aggiunto al gregge, e resta presso la santa tomba fino al termine della vita, a gloria dei Padre, del Figlio e del Santo Spirito.
18. Il signore [del paese] dei Galliani[55] mandò al sepolcro del santo una donna paralitica. Egli era dubbioso dei miracoli del santo e diceva: “Se la donna che è partita sarà guarita, crederò tutto quello che ho sentito dire”. La donna arrivò alla tomba del santo e appena si avvicinò (miracolo!) si alzò subito dalla barella dove giaceva e camminò. Tornata al paese, quel signore non credeva a quello che gli appariva davanti. Non perché era ateo: voleva metterla alla prova. Ordinò infatti che salisse sino alla località [detta] Petra, vicina e impervia[56]. Quella si scosse, chiese l’aiuto del santo e salì sin sulla cima della montagna. E credette lui e tutti quelli della sua casa[57], glorificando Dio.
19. Un ragazzo di Taormina era storpio dalla nascita. Suo padre lo portò con una carriola e lo scaricò davanti alla tomba del santo. Lì restò a lungo: tornò ...
Pubblicato originariamente in: http://digilander.libero.it/ortodossia/Luca%20il%20grammatico.htm
[1] Inediti (Vat. Gr. 1650. 1658, 1667 e di Grottaferrata 447): in essi Nicola manifesta tutto il suo disprezzo per quella che (non nella sua lingua ma traslitterando il latino) chiama Romana Ekklesia.
[2] Non si può escludere che Nicola, prima d’essere eletto vescovo. sia stato monaco e igumeno del Monastero di Santa Lucia dei Calamizzi, a Reggio, che poi prese il suo nome.
[3] Lo stesso Goffredo Malaterra, normanno e testimone oculare, descrive con sgomento la tragica sorte della popolazione ortodossa della Calabria.
[4] San Nicola il Nuovo Taumaturgo è stato condannato a una totale damnatio memoriae: sinora non ho incontrato alcun storico cattolico che ne abbia fatto cenno.
[5] Nato a Reggio Calabria nella prima metà del 9° secolo e morto a Melicuccà nella prima metà del 10°: la sua memoria è all’11 settembre.
[6] II Mess. Gr. 76. anteriore al 1276. scrive che Luca fu vescovo is olon.
[7] Durante la dominazione araba in Sicilia, il vescovo di Trikala (Caltabellotta) stabilì la sua sede nel Monastero di San Calogero sul monte Cronio, presso Sciacca; il vescovo di Palermo aveva come Kiriakì (Cattedrale e non chiesa di santa Ciriaca come affermano alcuni!) una chiesa nelle campagne vicine (oggi a Monreale) e, forse, all’arrivo dei Franchi un vescovo Niceforo (di Messina? di Enna?) si rifugiò in un monastero di Draghina (oggi, Troina).
[8] Tre tropari e un theotokion per la memoria della traslazione sono stati editi dallo studioso uniata G. Schirò, Quattro inni per santi calabresi dimenticati. in Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, 15 (1946) pp. 17\28.
[9] F. Ughelli, Italia Sacra, 9. Venezia 1721. 505\6, parlò di un altrettanto fantomatico Luca “di Isola Capo Rizzuto” (KR), per la vaga assonanza tra asifa, àsilo e Isola: per di più, confondendo Isola con la veneta Asolo!
[10] Cm. 42,8 x 33,4: è scritto in doppia colonna su 251 fogli in gran parte provenienti da un codice dei 5°\6° secolo.
[11] L’autore (ma potrebbe trattarsi di un artificio letterario) afferma di essere stato presente alle esequie di Luca.
[12] La stessa povertà o rozzezza di linguaggio si osserva anche nelle omelie (probabilmente pronunciate a braccio e trascritte e copiate chissà quante volte) e ciò ha permesso a sedicenti storici di presentarle come scritti di un vescovo cattolico che avrebbe imparacchiato un poco di greco, una volta eletto vescovo di Bova... Affermazione basata sulla pessima traduzione fatta nel 1960 da M. Isnardi (pare conoscesse poco il greco) di un testo trascritto dal sacerdote uniata P. Joannou (in Arch. St. per la Cal. e la Luc., 29, 1960. pp. 179\237) che aveva copiato (pare infedelmente) un testo trascritto nel 1595 dal gesuita J. Sirmond, che aveva trascritto (non si sa quanto fedelmente) un manoscritto del quale non si hanno notizie certe.
[13] Il gesuita O. Gaetano, Vitae Sanctorum Siculorum. Palermo 1657. Ma ne fece cenno A. Agresta, Vita del Protopatriarca S. Basilio, Messina 1681, pp. 407\13, e G. Carnuccio nel 1689 tradusse in latino la Vita, rimasta però inedita (Cod. Cryptense 516 B b 17, copiato poi dai gesuiti della Società dei Bollandisti: Cod. Bruxellese 18906-12, ff. 64\79).
[14] Una autorità indiscussa nel campo degli studi paleografici: H. Delehaye, Catalogus codicum... Universitatis Messanensis, in Analecta Bollandiana, 12 (1904), p. 40.
[15] D. Martire, La Calabria Sacra e Profana, Cosenza 1887, volume 1, pp. 59\67.
[16] M. Mandalari, Vita di s. Luca da Melicuccà, in Rivista Storica Calabrese. (1895), pp. 79-80.
[17] È infedele, anzi mendace, l’edizione della Vita fatta nel 1954 da G. Schirò, Vita di S.Luca, Palermo 1954, che manipolò il testo, lo accompagnò da una traduzione dubbia, ne trasse un sunto che commentò in modo arbitrario. Sicché chi non conosce il greco, chi non ha la possibilità di vedere con i propri occhi il manoscritto e non conosce la paleografia, è tragicamente tratto in inganno per quanto riguarda date, nomi, luoghi e persino corretta interpretazione dei fatti narrati, perché costretto a credere alla “versione ufficiale” che è ben lontana dall’originale e dalla verità. Del resto, per stabilire la cronologia di entrambi i presunti vescovi Luca (che avrebbero avuto lo stesso nome, sarebbero vissuti contemporaneamente e avrebbero contemporaneamente svolto lo stesso ministero pastorale nella stessa zona) si pensi che si fa ricorso 1) alla copia dei testamento del (ri)fondatore dei Monastero di San Filippo di Fragalà; 2) a un Diploma dei conte Ruggero, datato 1092, e citato da F. Ughelli, il quale però precisa di non averlo mai visto ma di averne solo sentito parlare (!); 3) a un Diploma della contessa Adelaide, del 6518 = 1010 (! perciò gli storici arbitrariamente lo datano 1111) che D. Martire, citato, pp, 64-67, asserì di avere visto, anche se in traduzione latina o italiana, in casa di un notaio di Seminara (e non di Crotone o dintorni!).
[18] Il manoscritto precisa che è il Discorso 55°, per 1’11 dicembre (perché non il 10, giorno della festa?).
[19] La Chiesa Ortodossa non conosce il dogma del cosiddetto “peccato originale”.
[20] La Chiesa Ortodossa non conosce il dogma del cosiddetto “peccato originale”.
[21] Una mano diversa, a margine scrisse tre volte ekdhidhote, fu affidato.
[22] La ripetizione, anche solo mentale, della invocazione “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me e salvami”. Grandi maestri della Preghiera continua o del cuore furono alcuni santi cosiddetti italogreci quali Elia di Enna, Elia lo Speleota, Nilo di Rossano, Bartolomeo di Simeri, Niceforo l’Esicasta, ecc.
[23] II testo aggiunge ton asilon, cioè esente. Per Grande Chiesa si intende, secondo il senso, la Chiesa Ortodossa in genere, una singola diocesi oppure la cattedrale.
[24] Vestizione e intronizzazione di un nuovo vescovo sono accompagnate dalle acclamazioni di degno!, fatte da tutto il clero e il popolo presente.
[25] I Franchi iniziarono l’invasione della Sicilia nel 1061 e la portarono a termine in un trentennio.
[26] Negli stessi anni, san Giovanni di Matera, arrestato dai Franchi, disse: “Sono pronto a essere incarcerato e a morire per la verità”. Processato per eresia fu condannato al rogo ma la notte precedente l’esecuzione riuscì a evadere e si nascose tra i fitti boschi delle montagne tra Lucania e Campania. Qui incontrò Guglielmo di Vercelli che progettava di partire per l’Oriente, come missionario (!) tra gli ortodossi e riuscì a convincerlo che ciò non era gradito al Signore. Nel 1098 Giovanni tornò nascostamente in Puglia, nella speranza di potersi imbarcare e rifugiarsi a Costantinopoli ma proprio in quei giorni (ottobre) Papa Urbano II era a Bari per celebrare l’eresia del Filioque: arrestato, Giovanni fu di nuovo processato e condannato a morte.
[27] Se l’agiografo fu un monaco siciliano (del Salvatore di Messina?) si capisce perché dica, letteralmente, sul continente.
[28] Il fiume Mesima: siamo quindi tra San Ferdinando e Nicotera, sul Golfo di Gioia Tauro, accanto alla quale sorgeva l’antica Medma. Dalla Gazzetta del Sud (15.06.97, p. 11) si viene a sapere che in quella zona si progetta di edificare una sinagoga, una moschea, una chiesa cattolica, due chiese protestanti e un massonico “Tempio della Scienza”: nulla ricorderà (ed è meglio, vista la compagnia) i nostri Padri che hanno santificato quella terra.
[29] Ovviamente, secondo la superstiziosa credenza popolare dell’epoca.
[30] G. Schirò, forse ignorando che gli ortodossi usano il testo dei LXX, cita erroneamente la Scrittura.
[31] Pare che al tempo di Luca si conservasse ancora l’antico sistema viario che collegava, abbastanza agevolmente, il versante tirrenico della provincia di Reggio Calabria (la Regione delle Saline) a quello ionico (Bovalino), sino a Squillace.
[32] Il biografo descrive qui il rito della Liti (la Statio dei latini): una processione dalla piazza (o da una chiesa) alla cattedrale o altra chiesa principale.
[33] È impossibile rendere in italiano il gioco di parole tra thyra, porta, e thir, bestia.
[34] Credo che l’episodio alluda all’assassinio di qualche governatore normanno (si ricordi che la Vita ricorda espressamente che Luca lottò gli eretici lupi), oppressore e persino pedofilo.
[35] La zona in cui oggi sorge Villa Mesa, presso Reggio Calabria.
[36] II presunto Diploma della contessa Adelaide, già citato, riconosce alcune proprietà al Monastero di San Nicola del Viteorito tra le quali una chiesa della Theotokos sulla spiaggia tra il Petrace e il Mesima: è la stessa chiesa della Theotokos verso cui, da Palmi – Seminara, mosse in pellegrinaggio sant’Elia il Nuovo. insieme al discepolo Daniele, per ottenere il dono della pioggia?
[37] II pane non direttamente utilizzato per la Liturgia, viene santificato e al termine della Liturgia, distribuito ai fedeli che lo consumano con devozione.
[38] A questo punto l’agiografo fa uno strampalato sfoggio di erudizione: – In molte parti si trova la parola “voce”. Quando Achaàv uscì per incontrare Elia il Thesvita, chiedendogli la pioggia: nel segno dato ad Avraàm quando ci fu per lui una voce: “Non sarà lui il tuo erede”; in Mosè: “Tutto il popolo vedeva la voce e le luci”. Per noi “voce” è l’aria percossa, cioè il vibrare dell’aria, ma la voce che dall’alto viene inviata ai giusti non è questa, non la riceviamo nella fantasia del sogno come un’eco del vibrare dell’aria. come un suono o ricordo di parole e non la riceviamo attraverso l’udito. Essa. dall’alto viene scritta nei nostri cuori: infatti, “voce” significa “luce della mente” [fonì, voce = fos, luce, + nous, mente]. Abbiamo anche un altro significato di “voce dell’acqua”, come afferma [san] Basilio, il grande [conoscitore] delle cose divine che cammina nel cielo. Lo spirito violento e secco, scosso dalle nuvole, cerca una uscita e non la trova perché glielo impediscono le nuvole che, come bolle, si gonfiano e si aprono, producendo il rumore e il fragore del tuono mentre lo spirito è talmente secco che prende fuoco e si forma il fulmine, come spiega Giorgio il Referendario [Giorgio Pisidi, celebre poeta, diacono e dignitario, Referendario, del clero patriarcale di Costantinopoli]. Questo lo sanno non solo quelli sani di mente ma pure quelli fuori di senno. Ma torniamo al discorso che abbiamo lasciato: dopo le parole del santo...
[39] Come detto, il manoscritto è mutilo: dalla conclusione, si può ipotizzare che i fogli strappati (Miracoli 8\10) avevano un contenuto fortemente anticattolico.
[40] I cattolici non usano fare la comunione alle due specie eucaristiche.
[41] È una interessante testimonianza dell’antico uso di battezzare solo in pochi giorni dell’anno (la Teofania, sabato di Lazzaro, nel Grande Sabato ecc.).
[42] Il rito della preparazione del pane e del vino per l’Eucaristia.
[43] Analogo episodio si legge nella Vita di san Bartolomeo di Simeri (CZ) o in quella di san Conon di Naso (ME).
[44] Detto poi Viteorito, deve essere ricercato non lungi da Solano – Sinopoli – Melicuccà.
[45] Chi erano questi vescovi ortodossi che, forse semiclandestini, operavano nella zona?
[46] Sembra la celebrazione di un Sinodo.
[47] Forse è un accenno alla dottrina cattolica del “Purgatorio”.
[48] Quasi le stesse parole usa l’archimandrita Luca (o chi si cela sotto la sua autorità) nella prefazione al Typikòn del Monastero del Salvatore di Messina.
[49] I cattolici nulla conoscono delle sante Energie.
[50] Sembra che il sacerdote Nicola abbia celebrato una Paràklisi, una cerimonia di supplica.
[51] Credo Casignana, vicino la già menzionata Bovalino, nella Locride.
[52] Forse del Roveto (ardente) o un monastero nel profondo (vallone): Polsi?. G. Schirò ha (volutamente?) letto Katina e ha parlato di un Monastero della “Madonna della Catena” presso Castrovillari, nel nord della Calabria. Però in nessun luogo della Calabria è mai esistito un monastero così chiamato e, del resto, la devozione alla Madonna della Catena si diffuse tra i cattolici molti secoli dopo, allo scopo di raccogliere offerte per il riscatto degli schiavi.
[53] Una mano diversa, a margine ha segnato ton aghion, il santo.
[54] Sopra Francavilla di Sicilia, vicino Taormina: il monastero era stato restaurato da poco da san Clemente, un santo semi sconosciuto (il cui nome è di solito storpiato in Chremes).
[55] Credo si tratti di Gagliano, non molto lontano dal grande e ricco Monastero di San Filippo di Fragalà (ME) dove san Luca fu almeno una volta: nel 1105 firmò, come testimone, il testamento dell’igumeno Gregorio, il (ri)fondatore della vita monastica nella Regione di Demenna.
[56] Presso Alcara Li Fusi (nelle vicinanze di Gagliano), circondata da monti che superano i 1300 metri s.l.m., sorgeva il Monastero di san Nicola de Petra. Colgo l’occasione per osservare che la zona di Isola Capo Rizzuto, dove di solito certi storici hanno inquadrato geograficamente la Vita di san Luca, è una vasta pianura che non supera mai i 250 metri s.l.m.
[57] È qui descritta come una conversione in massa della famiglia dell’ateo franco?