LA PENISOLA DEL MONTE ATHOS

LA VITA DI PREGHIERA

Cliccare sulle figure dei grandi monasteri nella pianta per averne una sintetica descrizione
(Le figure che non sono cliccabili sono dipendenze – skiti o kellia – dei grandi monasteri)

 

Sintetica descrizione dei monasteri
(I monasteri descritti sono in ordine d’importanza)

 

LA GRANDE LAVRA

Monastero idiorritmico dedicato a sant’Atanasio Athonita, che ne è il fondatore. Fondato nel 963. Il termine lavra in origine non indicava un monastero, ma un insieme di abitazioni monastiche indipendenti che facevano capo a una chiesa comune. Quando sant’Atanasio inizio la sua fondazione già esistevano all’Athos dei raggruppamenti a modo di lavre. Di qui si spiega il nome di Meghisti Lavra, “la più grande lavra”, benché in seguito sia rimasta la sola a conservare questo nome, e lo conservò nonostante che sant’Atanasio le abbia dato la struttura e la regola di un monastero. Si calcola che vi siano nella biblioteca 1950 manoscritti, di cui 690 su pergamena. Dalla Grande Lavra dipendono le skite di Sant’Anna, del Prédromos (dedicata a san Giovanni Battista, con monaci rumeni), e la skiti chiamata Kafsokalivia (o Kapsokalìvia); inoltre gli eremi Sant’Anna minore, San Basilio (Àghios Vasilios), Katunàkia e Karùlia, tutti, come le skite, sulle pendici meridionali del Monte Athos. La Grande Lavra, il più antico e il più bello dei monasteri athoniti, sorge presso l’estremità orientale della penisola, di poco elevata sul mare. Dal piccolo porto una strada, fiancheggiata da folti oleandri, in venti minuti di salita conduce davanti all’ingresso. una specie di pronao coperto da una cupola e protetto in alto da grandi vetrate a colon. Oltre i portoni blindati e chiodati si arriva in un cortile quasi rettangolare (120 per 45 metri circa): è l’area occupata dal katholikòn, dalla fiali e dal refettorio. Gli edifici del monastero sono quasi tutti racchiusi dentro mura merlate, munite di torrazzi coperti e vegliate dall’alta torre merlata dalla parte della montagna. Questo dà al monastero un aspetto di castello fortificato. Due cipressi altissimi occupano gli angoli del cortile davanti al refettorio; secondo la tradizione, furono piantati mille anni fa da sant’Atanasio. L’origine della Grande Lavra coincide con le origini stesse della vita monastica organizzata all’Athos per opera di sant’Atanasio, nel 963, con l’appoggio degli imperatori Niceforo II Foca (963-969) e Giovanni I Zimisce (969-976). La costruzione del katholikòn fu ultimata nel 1004, un anno dopo la morte di sant’Atanasio. Anche il successore di Giovanni I Zimisce, Basilio II (976-1025), favorì la Grande Lavra assegnandole in proprietà vasti territori. Il voivoda di Valacchia Neagoe Basarab (1512-1521) procurò la copertura di piombo del katholikòn. Alla fine del XVI secolo questo monastero, come altri, attraversò un periodo di decadenza e di povertà, che ridusse di molto il numero dei monaci. Come gli altri monasteri, anche la Grande Lavra in questo periodo era passata allo statuto idiorritmico, che conserva ancora. La sua ripresa data dal 1655 in seguito a un cospicuo lascito. Nel 1744 il patriarca Paisios II, al suo terzo patriarcato (1744-1748, fu patriarca quattro volte), aiutò finanziariamente il monastero e lo restituì al suo antico grado, il primo posto nell’ordine gerarchico.

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VATOPEDI

Monastero idiorritmico, dedicato all’Annunciazione della Vergine (25 marzo). Fondato nel 972 circa. Il nome, di non facile spiegazione, fu interpretato dalla tradizione mediante un episodio leggendario che attribuisce la fondazione del monastero a Teodosio I (379-395). I figli di questo imperatore Arcadio e Onorio, ancora fanciulli, navigavano da Roma a Costantinopoli, quando presso l’Athos una tempesta furiosa mise in pericolo la nave. Il piccolo Arcadio si aggrappava al bordo della nave invocando la Madonna, ma un ondata più forte lo fece cadere in mare. Vani furono gli sforzi per ripescarlo. Cessata la tempesta il piccolo Arcadio fu trovato non lungi dalla spiaggia che dormiva pacificamente sotto una pianta di lampone; era stato salvato dalla Madonna. Più tardi l’imperatore per gratitudine fece costruire sul posto (o ricostruire, perché alcuni attribuiscono a Costantino la prima fondazione) un monastero in onore della Vergine Maria e lo chiamò Vatopédi per ricordare la salvezza del figlio. Infatti in greco vàtos significa “rovo, lampone” e pedion (scritto paidion) indica il “bambino”. Forse la vera etimologia non è da paidion, ma da pedion “pianura”: Vatopédi sarebbe “la piana dei lamponi”, che infatti ancora vi crescono allo stato selvatico. La biblioteca possiede 680 manoscritti, di cui circa la metà su pergamena. Da Vatopédi dipendono la skiti di San Demetrio e la grande skiti di Sant’Andrea, detta anche Sarai, cioè palazzo, un tempo abitata da monaci russi (400 nel 1903), ora senza più monaci ma adibita a ospitare la Scuola dell’Athos (Athoniàs), data anche la sua vicinanza con Karyés. Il grandioso complesso monastico di Vatopédi è adagiato presso la curva graziosa di un’ampia baia. Le sue mura disposte a triangolo spariscono quasi sotto il cumulo di terrazze, loggiati, balconi; gli edifici dipinti di rosso delimitano un vasto cortile. Vi si trova il katholikòn, dalla consueta struttura “a trifoglio”; la cupola poggia su quattro colonne di porfido che si dice provengano da Ravenna. Due cappelle (pareclesia) fiancheggiano la chiesa principale. Due sono le caratteristiche proprie a Vatopédi: la conservazione di un bellissimo mosaico (Déisis) a sfondo d’oro sul timpano del portale entro il nartece (XI secolo) e una cappella isolata nel cortile dedicata ai santi Anargiri (“senza denaro”: sono i santi Cosma e Damiano, medici che curavano senza farsi pagare), con le pareti esterne non a intonaco dipinto, ma tali da mostrare, con bellissimo effetto cromatico, fasce orizzontali alternate di pietre e di mattoni. Graziosa la fiali rotonda con due giri concentrici di colonne. Gli affreschi datati dal 1312 e più volte restaurati sono della scuola macedone; un altro mosaico, pure dell’XI secolo, nell’interno della chiesa rappresenta l’Annunciazione, a cui la chiesa stessa è dedicata. L’origine del monastero di Vatopédi risale al tempo di sant’Atanasio. Tre notabili di Adrianopoli, Atanasio, Nicola e Antonio vennero alla Grande Lavra e fecero professione monastica sotto la direzione di sant’Atanasio. In seguito essi stessi fondarono il monastero, la cui data si può porre nel 972, anno in cui fu emanato il typikòn di Giovanni I Zimisce. Un documento del 985 menziona Nicola igumeno di Vatopédi. Nel typikòn di Costantino IX Monomaco (1046) il monastero di Vatopédi figura già al secondo posto nell’ordine gerarchico. Vatopédi ebbe a soffrire del saccheggio da parte dei mercenari catalani di Andronico II (1282-I 328), ma lo stesso imperatore restaurò il monastero. Ricordiamo il soggiorno a Vatopédi dell’imperatore Giovanni VI Cantacuzeno quando nel 1355, dopo aver abdicato, si fece monaco e venne all’Athos. L’ultimo zar di Serbia prima della dominazione turca, Lazzaro I Greblianovic ebbe modo di beneficare Vatopédi, a cui donò la reliquia della cintura della Madonna, che prima era conservata a Costantinopoli. Altre benemerenze verso il monastero ebbe il voivoda di Moldavia Stefano il Grande (1457-1504), il costruttore dei famosi monasteri moldavi di Putna, Neamts, Voronets. Le costruzioni monastiche attuali molto devono alle donazioni dei patriarchi di Costantinopoli, Cipriano (1708/1709, 1713/1714) e di Alessandria, Gerasimo 11(1689-1710). Posteriori a questi restauri sono gli affreschi del refettorio (1780). Dopo l’incendio che nel 1965 distrusse l’ala sud-est, con la foresteria e molte camere, il progetto e le spese della ricostruzione furono assunti dal governo greco.

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IVIRON

Monastero a statuto idiorritmico fondato nel 979. È dedicato alla Dormizione (Assunzione) di Maria (15 agosto). Il nome significa “degli iberi”, cioè dei georgiani i quali fondarono il monastero e lo tennero per qualche secolo. Attualmente i monaci sono tutti greci. La biblioteca è tra le più ricche dell’Athos, la più ricca in libri stampati dopo quella della Grande Lavra. Possiede 1381 manoscritti, di cui settanta su pergamena. Da Iviron dipende la skiti dedicata a san Giovanni Battista (Pròdromos), distinta dall’omonima dipendente dalla Grande Lavra. Quasi sulla riva del mare, forma un vasto quadrilatero di edifici, addossati alle mura e disposti attorno al cortile centrale, dove sorge il katholikòn, con le altre consuete costruzioni. La storia della sua origine è connessa con le vicende politiche intervenute alla morte di Giovanni I Zimisce (976). Teofano, la vedova di Niceforo II Foca, aveva sposato in prime nozze Romano II (959-963) da cui aveva avuto due figli, per la cui tenera età Niceforo II Foca e poi Giovanni I Zimisce (che era cognato di Romano II) si erano autorizzati a occupare il trono, senza voler sopprimere il diritto dei due bambini. Dopo tredici anni i bambini erano cresciuti e vennero riconosciuti imperatori: erano Basilio II (976-1025) e Costantino VIII (976-1028). A questo punto un pretendente al trono, Barda Scleros, mosse guerra ai giovanissimi imperatori. Intanto all’Athos già da un anno tra i discepoli di sant’Atanasio si trovavano due georgiani di nobile famiglia, Giovanni e suo figlio Eutimio, che era stato in ostaggio alla corte di Costantinopoli. Dopo aver praticato la vita monastica in un cenobio del Monte Olimpo in Misia erano venuti all’Athos nel 975, dove altri georgiani li avevano raggiunti; tra questi il generale Tornikios, che aveva reso grandi servigi all’impero. La madre dei due giovani imperatori, Teofano, che aveva abbandonato il suo esilio monastico per ricoprire il ruolo di imperatrice madre, conoscendo il valore di Tornikios, lo pregò di riprendere te armi in aiuto ai legittimi imperatori Tornikios, lasciato l’Athos, ottenne dal principe di Georgia David, vassallo dei bizantini, un fortissimo contingente di cavalieri che contribuì alla vittoria decisiva nel 979. Dopo di che ritornò all’Athos e, con i mezzi propri e l’appoggio fornito da Basilio II e dalla madre Teofano, promosse l’iniziativa dei suoi compatrioti Giovanni ed Eutimio e con loro costruì un nuovo monastero per i georgiani che sempre più numerosi accorrevano all’Athos. Fu appunto il monastero che i greci chiamarono Iviron (979 circa). Sant’Eutimio, il primo igumeno di Iviron, si rese celebre per l’immenso lavoro di traduzione e adattamento di scritti ecclesiastici dal greco in georgiano. Per mezzo suoi georgiani conobbero le opere di San Basilio, di san Gregorio Nazianzeno, come pure I Dialoghi del papa San Gregorio Magno. Verso 1040 venne a Iviron il monaco georgiano Giorgio l’Athonita, che succedette a sant’Eutimio come igumeno e come traduttore; per opera sua il patrimonio letterario costituito dai libri liturgici bizantini passò nella letteratura georgiana. Iviron rimase un centro culturale georgiano fino all’inizio del XVI secolo; da allora lo abitarono solo monaci greci. Tuttavia nella biblioteca vi sono ancora preziosi manoscritti georgiani. Ricordiamo un manoscritto greco con molte miniature del XIII secolo che contiene il romanzo dei santi Barlaam e Ioasaf (o Giosafat), una trasposizione della vita di Buddha sulla persona di Ioasaf, figlio di un re dell’India, che convertito al cristianesimo da santo eremita Barlaam, riuscì a convertire il padre e, rinunciando al regnò, si diede con Barlaam alla vita monastica. Anche Iviron ebbe a soffrire da parte dei pirati conobbe periodi di decadenza e successivi restanti. Tra i suoi benefattori vi fu il re di Serbia Stefano VII Dusan (1331-1355), che allargando le sue conquiste si rese padrone della Macedonia e dell’Athos (1334). Quando nel 1346 si fece Incoronare “imperatore dei greci e dei romani”, erano presenti alla cerimonia anche i rappresentanti dei monasteri dell’Athos In seguito lo stesso Dusan visitò l’Athos elargendo i suoi benefici. Notiamo che il katholikòn dell’XI secolo fu ampliato e in parte rifatto nel 1523; gli affreschi sono posteriori a quella data. Nel 1865 il monastero fu devastato da un grande incendio, di qui il carattere recente di molti suoi edifici. L’icona più venerata a Iviron è chiamata Portaitissa (“custode della porta”), conservata in un’apposita cappella. È del tipo dell’Odighitria, ed è conosciuta in Russia col nome di Ivérskaja. la Madonna di Iviron. Secondo la leggenda essa sarebbe stata dipinta da san Luca; profanata da un saraceno (porta i segni di una ferita al viso), fu ritrovata dalla Terra Santa alla spiaggia di Iviron scortata da due piccoli lumi. Un eremita georigiano di nome Gabriele la raccolte e la portò sopra l’ingresso della sua grotta; furono pure fissati i due piccoli lumi. Saputa la cosa, l’igumeno fece trasportare l’icona nella chiesa del monastero, ma il giorno dopo fu ritrovata al posto di prima. L’igumeno decise di non opporsi al volere della Madonna. Dopo qualche tempo, nell’aprire l’ingresso del monastero il podere si accorse che l’icona miracolosa si trova al di sopra della porta. Corsero allora i monaci alla grotta dell’eremita. Gabriele era morto e i due piccoli lumi erano spariti.

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CHILANDARIOU

Monastero idiorritmico serbo, dedicato alla Presentazione di Maria al Tempio (21 novembre). Fondato nel 1197; ricostruito nel 1293. Il nome che sembra significare “mille uomini” (chilioi andres) fu diversamente spiegato: mille sarebbero stati i monaci del convento; mille, anzi mille e tre, i saraceni che un giorno assalirono il monastero, ma per un miracolo della Madonna trovandosi improvvisamente all’oscuro si uccisero combattendo tra di loro; i tre scampati abbracciarono la fede cristiana, furono battezzati e divennero santi monaci. Più probabilmente il nome si deve a un cerco monaco Chilandarios che aveva iniziato una residenza monastica in quel luogo poco prima della fondazione del monastero. La biblioteca contiene 105 manoscritti greci e slavi. Il monastero è il più vicino al confine settentrionale della repubblica monastica, Giace in una bellissima valle verdeggiante. Gli edifici dominati da un’alta torre, si addossano alle alte mura, disposti in forma di rombo attorno al Katholikòn dal caratteristico esterno, non intonacato ma con bella alternanza di mattoni rossi e bruni e decorazioni in ceramica attorno alle finestre. Pur non essendo dei più grandi questo monastero è tra i più belli dell’Athos. Gli affreschi del katholikòn e del nartece appartengono alla scuola macedone (dal 1319 in poi); furono restaurati con fedeltà nel 1804 Il refettorio fu affrescato nel 1623 dal monaco serbo Giorgio Mitrofanovic, ma vi furono scoperti frammenti del XIV secolo. L’origine del monastero è legata alla fuga dalla corte paterna di Rastko (o Rastmir) figlio del re di Serbia Stefano Nemanja (1186-1195); il giovane si fece monaco a Vatopédi col nome di Savva. Il padre, dopo aver riuniti i territori serbi della Rascia e della Zeta in un grande regno, abdicò e si fece monaco al monastero da lui eretto a Studenica, Poi nel 1197 raggiunse il figlio all’Athos e con lui fondò il monastero di Chilandàri che forse già esisteva in forma embrionale. Un decreto di Alessio III Angelo (1195-1203) stabili che questo monastero fosse destinato ai serbi, per i quali divenne un importante centro spirituale. Stefano Nemanja morì a Chilandàri e vi è venerato sotto il nome di San Simone (suo nome come monaco) Savva in seguito divenne arcivescovo di Ipek (ora Pec). Nel 1293 il re di Serbia Stefano V Milutin (1275-1322) fece restaurare il monastero e in quell’occasione fu costruito il katholikòn. Nel 1722 Chilandiri fu devastato da un incendio e visse anni difficili. Il re di Serbia Alessandro I Karageorgevic (1843-1858), recatosi all’Athos, dispose che vi si facessero a sue spese i restauri necessari e che vi fossero inviati monaci dalla Serbia per ripopolare il monastero. Anche a Chilandàri vi è un ’icona particolarmente venerata nel mondo ortodosso. è la Madonna chiamata Tricherusa, cioè “dalle tre mani”, perché ad un osservatore superficiale può sembrare che la Madonna (del tipo Odighitria ma col Bambino a destra) abbia una terza mano al disotto di quella che sostiene il Figlio. In realtà si tratta di una mano votiva. La leggenda riferisce il fatto miracoloso a San Giovanni Damasceno (m. 749) che, prima di essere monaco a San Sabba nel deserto a est di Betlemme, era funzionario del governatore di Damasco (conquistata dal califfo Omar nel 637). Citato in tribunale per il suo zelo nel difendere i cristiani, ebbe recisa la mano sinistra. Allora il giovane coraggioso prese la mano amputata e la presentò come segno di fedeltà davanti all’icona della Vergine, senza nulla chiedere. Ma dall’icona usci una mano della Madonna che riattaccò perfettamente l’arto amputato. Per riconoscenza Giovanni fece applicare all’icona una mano d’argento, poi si fece monaco e divenne un grande dottore della Chiesa. Un’altra storia dice che l’icona si trovava nel monastero di Studenica, e venne a Chilandiri da se stessa a dorso di mulo. Posta dai monaci sull’iconostasi, a tre riprese fu trovata alla mattina sul seggio dell’igumeno. Da quel tempo la Vergine è considerata la superiora del monastero, e non venne eletto più nessun igumeno.

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DIONYSIOU

Monastero cenobitico (dal 1907), dedicato a san Giovanni Battista. Fondato verso il 1375. Porta il nome del suo fondatore, il monaco Dionisio, che aiutato dai suoi discepoli ideò e iniziò la costruzione di questo originale complesso monastico. Nella biblioteca si conservano 588 manoscritti. Il monastero Dionysìu sorge poco discosto dal mare, nella parte sud-ovest della penisola. Le mura altissime poggiano su una roccia alta circa cento metri sul mare e da esse sporgono balconi e loggiati come sospesi nel vuoto. Data la ristrettezza della base, tutti gli edifici anche all’interno sono addossati attorno al cortile quasi inesistente e al katholikòn non molto grande e dipinto di rosso. Gli affreschi della chiesa e del refettorio (1547) sono dovuti a Zorzi il Cretese. L’origine del monastero si deve all’iniziativa del monaco Dionisio, che, avuta la visione di una fiamma immobile alta presso la riva, decise di costruire in quel posto un monastero. Venne in suo aiuto l’imperatore di Trebisonda (oggi Terabron in Turchia) Alessio III Comneno (1349-1390) con l’imperatrice Teodora. L’inizio della costruzione si può porre verso il 1375 circa. Nel tesoro del monastero si conserva la carta di fondazione, con una grande miniatura che rappresenta l’imperatore con la moglie nell’atto di tenere un rotolo sigillato, cioè la crisobolla con i privilegi concessi al monastero, mentre sopra di loro è rappresentato san Giovanni Battista. Benefattori del monastero furono i voivodi di Valacchia Radu il Grande (1495-1508) e Neagoe Basarab è di Moldavia Pietro Rares (1527-1546); ai primi si deve la torre che domina e costruzioni dalla parte della montagna. La costruzione attuale si deve in gran parte al principe di Moldavia Alessandro Lapusneanu (1564-1568), alla vedova di lui Roxandra e al principe di Valacchia Pietro Schiopul (1559-1567). In una cripta dcl katholikòn si conserva In un’urna il corpo di Nifone II patriarca di Costantinopoli (1486-1489; 1497-1498). Rifiutando una terza elezione al patriarcato, si ritirò all’Athos senza farsi riconoscere e visse nell’umile condizione di semplice monaco. Solo dopo la sua morte se ne scopri l’identità e, per l’esempio delle sue virtù, fu proclamato santo.

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KUTLUMUSÌOU

Monastero a statuto cenobitico (dal 1856), dedicato alla Trasfigurazione (6 agosto). Fondato alla fine del XIII secolo e rinnovato nel XVIII secolo. Il nome deriva dalla famiglia turca dei Kutlumusìu a cui apparteneva il fondatore. La biblioteca possiede 560 manoscritti, di cui 95 su pergamena. Da Kutlumusìu dipende la skiti di San Panteleimon da non confondersi coi monastero russo dello stesso nome. Adagiato sul fianco della collina al centro della penisola, il monastero spicca tra il verde della costa che conduce a Karyés, da cui non dista molto. È un complesso quadrangolare di modeste proporzioni, dove fanno bella mostra di sé tre piani di loggiati simili a chiostri sovrapposti. Le circostanze della fondazione si fanno risalire a Costantino figlio di Azz ed-Din della famiglia turca dei Kutlumush, imparentata con i sultani selgiuchidi di Konya; dopo la morte della madre Anna, che era cristiana, si portò a Costantinopoli al tempo di Andronico II e si fece cristiano. In seguito si ritirò sull’Athos e fondò il monastero che ne porta il nome. Dal XIV al XVII secolo fu abitato da monaci rumeni e fu beneficato dai voivodi moldavi e valacchi. Il katholikòn fu costruito nel 1540, dopo che un incendio nel 1497 aveva quasi interamente distrutto il monastero. L’ultima ricostruzione risale al XVIII secolo, dopo l’incendio del 1767.

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PANTOKRATOROS

Monastero idiorritmico, dedicato alla Trasfigurazione (6 agosto). Fondato nel due fratelli 1363 da imparentati con la famiglia imperiale dei Comneni, il grande stratopedarca (generalissimo) Alessio e il grande primicerio (cancelliere) Giovanni. Il nome gli viene da un campo presso il monastero, detto “del Salvatore”. La biblioteca possiede 234 codici. Sorge sulla riva settentrionale del mare; di piccole dimensioni, come il suo katholikòn, i cui affreschi datano dal secolo scorso. Tra i benefattori del monastero si ricordano i Paleologhi Manuele II (1391-1423) e Giovanni VIII (1425-1448), il voivoda di Valacchia Neagoe Basarab e il fanariota Giovanni Maurocordato (1716-1719). Le costruzioni furono ultimate nel 1700 col refettorio di fronte alla chiesa.

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XIROPOTÀMOU

Monastero idiorritmico, dedicato ai santi Quaranta Martiri di Sebaste. Fondato nel X secolo e ricostruito nel XVIII secolo. Il nome, che significa “fiume asciutto”, gli deriva da un torrente presso il quale fu costruito il monastero. La biblioteca non è molto ricca, ma conserva alcuni codici finemente miniati e qualche manoscritto ebraico. Sorge su un pianoro che sovrasta il porto di Dafni; è un quadrato che delimita il cortile interno entro cui oltre il katholikòn sorge la bassa torre. La fondazione è attribuita al monaco Paolo figlio dell’imperatore Michele I Rangabé (811-813) oppure a un certo Paolo Xiropotaminos, con l’autorizzazione di Romano I Lecapeno (919-944). Nel XII-XIV secolo aveva vastissimi possedimenti e fu beneficato dai re di Serbia, che ampliarono il monastero e fecero costruire la cappella dedicata alla Madonna, con un’alta cupola che domina sul lato settentrionale. Il monastero decadde in seguito ai due incendi del 1507 e del 1609. Alla sua rinascita contribuirono i patriarchi Timoteo II (1612-1620) e Metodio III (1668-1671) e inoltre Costantino Dapontes, letterato e uomo politico della corte dei principi di Moldavia Costantino e Giovanni Maurocordato, che, fattosi monaco a Xiropotàmu, vi risiedette dal 1757 al 1784; con i suoi mezzi e il prestigio personale rialzò le sorti del monastero. Nel 1972 un incendio ha devastato la foresteria, tre cappelle e qualche affresco. Tra i tesori di Xiropotàmu si trova il frammento più grande della reliquia della Santa Croce.

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ZOGRAFOU

Monastero cenobitico (dal 1840), dedicato a san Giorgio (23 aprile). Fondato agli inizi del X secolo, secondo alcuni sotto l’imperatore Leone VI il Filosofo (886-911), secondo altri verso il 980. Il nome, che significa “(monastero) del pittore”, si spiega con la tradizione sull’origine del monastero: tre fratelli di Ocrida, Mosè, Aronne e Giovanni, non accordandosi sul patrono a cui dedicare il monastero, misero nella chiesa una tavola non ancora dipinta e iniziarono a pregare; la tavola si dipinse da sé e apparve l’immagine di san Giorgio che i monaci chiamarono Zografos, ed è ancora in grande venerazione. La biblioteca conserva 259 manoscritti slavi e 107 greci. Zogràfu si trova nascosto dai boschi in una vallata dell’interno a un’ora di cammino dal suo porto, posto sulla sponda occidentale. L’aspetto regolare e quasi senza balconi sporgenti accusa lo stile razionale e monotono del XIX secolo. Infatti il katholicòn fu costruito nel 1800, l’ala nord e l’entrata negli anni 1862-1869. Di poco più antica è l’ala sud-est (1716), mentre delle ricostruzioni operate dai Paleologhi rimangono pochi elementi dopo il saccheggio dei pirati catalani. Sembra che già dall’XI-XII secolo il monastero sia stato di proprietà esclusiva dei bulgari. Dopo un periodo di decadenza venne ripopolato nel 1502, con l’aiuto dei voivodi della Moldavia. L’icona di San Giorgio sembra del XIV secolo e secondo gli esperti, sarebbe di stile italiano.

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DOCHIARIOU

Monastero idiorritmico, dedicato agli arcangeli Michele e Gabriele. Fondato nel X secolo (976 circa) da sant’Eutimio di Costantinopoli discepolo di sant’Atanasio; restaurato nel XVI-XVII secolo. Il nome sembra riferirsi al fondatore il quale sarebbe stato dochiéris, cioè addetto alla custodia del vino nella Lavra di sant’Atanasio. La biblioteca conserva 395 manoscritti. Sorge sul versante occidentale, quasi sul mare, dal quale si innalza sulla pendice del monte. Il katholikòn il più grande dell’Athos, data dal 1567 ed è affrescato da Teofane di Creta o dalla sua scuola. Una cappella conserva l’icona della Madonna Gorgoepikoos, ossia Colei “che risponde prontamente”.

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KARAKALOU

Monastero a statuto cenobitico (dal 1813) dedicato ai santi apostoli Pietro e Paolo (29 giugno). Fondato alla fine dell’XI secolo per autorità di Romano IV Diogene (1068-1071); restaurato nel XVI secolo. Il nome ha creato la leggenda che il primo fondatore fosse l’imperatore Caracalla (211-217); sembra invece che si riferisca a un certo Nicola Karakalas. La biblioteca possiede 224 manoscritti, di cui 36 su pergamena. Il monastero sorge alto sul mare, nel versante orientale. La ricostruzione attuale risale agli anni 1541-1546. Fu oggetto di cure particolari da parte di Roxandra, la vedova del voivoda di Moldavia Alessandro Lapusneanu, divenendo uno dei monasteri più popolati e fiorenti nel XVII secolo.

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FILOTHÉOU

Monastero a statuto cenobitico (dal 1973), dedicato all’Annunciazione della Vergine (25 marzo). Fondato verso il 990 dal monaco Filoteo, con i compagni Arsenio e Dionisio, almeno secondo la tradizione; comunque la sua esistenza è documentata nel 1015. Il nome gli viene dal monaco fondatore. La biblioteca custodisce 250 manoscritti.Il monastero ha il suo porto sulla sponda orientale, ma dista alquanto da essa, nascosto in mezzo a una vegetazione lussureggiante, che tuttavia non impedisce, data la sua elevazione, una splendida vista sul mare. Dal XIV al XVI secolo fu popolato in prevalenza da monaci bulgari. Gli affreschi del refettorio sono di scuola cretese, mentre quelli del katholikòn sono posteriori alla sua ristrutturazione nel XVIII secolo. Nel 1871 gran parta del monastero fu distrutto da un incendio, che tuttavia risparmiò il katholikòn e gli edifici centrali. Le ricostruzioni attuali datano da quell’epoca. Nel katholikòn si venera l’icona della Glykofilusa, la Madonna “del dolce amore”, le cui copie sono assai diffuse nel mondo ortodosso. Dal 1973 il monastero è al centro di un risveglio della vita cenobitica tra i giovani e gli intellettuali.

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SIMONOS PETRA

Monastero a statuto cenobitico (dal 1801), dedicato alla Natività di Cristo (25 dicembre). Fondato nel 1357. La denominazione indica la roccia su cui e costruito (petra) e il nome del fondatore, Simone: “la roccia di Simone”. La biblioteca fu distrutta con tutto il monastero nell’incendio del 1891. La sua origine risale al monaco Simone, che avuta la visione di una stella ferma sopra una roccia alta più di trecento metri presso il mare (era la notte di Natale) ebbe l’ardita idea di innalzare lassù un monastero. Venne in suo aiuto il despota della Macedonia Giovanni Ugles, fratello del re di Serbia Vukakin (1366-1371; ambedue perirono combattendo contro i turchi), che fornì i mezzi per completare la costruzione. Essa fu rifatta più volte dopo gli incendi degli anni 1580, 1626 e 1891, sempre nello stesso sito e con lo stesso stile, con i bailatoi e le logge sporgenti sul precipizio. La costruzione attuale è dovuta alla munificenza dell’ultimo zar Nicola II (1894-1917).

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AGHIOU PAVLOU

Monastero a statuto cenobitico (dal 1839), dedicato alla Presentazione della Vergine al Tempio (21 novembre). Fondato, secondo la tradizione, dal monaco Paolo che, lasciato il monastero di Xiropotàmu, venne in questo luogo a condurre vita eremitica nel IX secolo. Dal fondatore il nome è passato al monastero. Ne dipendono la Nea Skiti e la skiti rumena detta Lakku Skiti. Il monastero è arroccato tra le pendici rocciose del Monte Athos sul versante occidentale. Le sue origini sono oscure; secondo la tradizione, risalirebbe a un eremo anteriore alla venuta di sant’Atanasio. Comunque solo nel 1370 ottenne il grado di monastero autonomo, non più dipendente da Xiropotàmu e fu abitato da monaci serbi. Il katholikòn, costruito nel 1447 dal despota serbo Giorgio Brankovic (1444-1456), fu completamente rifatto nel 1839; è molto ampio ma senza affreschi. Affreschi della scuola cretese sono conservati nella cappella di San Giorgio e databili dalla metà del XVI secolo. Gli edifici attuali risalgono in gran parte all’ingrandimento del monastero effettuato ad opera degli zar Alessandro I (1801­1825) e Nicola I(1825-1855).

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STAVRONIKITA

Monastero a statuto cenobitico (dal 1968), dedicato a San Nicola (6 dicembre). Fondato forse nel XIII secolo, divenne proprietà del monastero Filothéou; solo nel 1541 fu riconosciuto autonomo. Il nome viene spiegato da alcuni come derivato dai nomi di due eremiti, Stavrós e Nikita, che vivevano nel luogo dove poi fu edificato il monastero. Secondo un’altra tradizione sarebbe il nome del fondatore Niceforo Stavronikita, ufficiale di Giovanni I Zimisce. Il monastero sorge sul versante orientale della penisola e domina il mare dall’alto di una roccia. Qualunque sia stata l’origine, la sua storia e quella degli edifici attuali incomincia nel 1533, quando il primo igumeno, Gregorio Geromeriatis, lo acquistò dal monastero Filothéou con tutto il territorio annesso, e lo riedificò, ottenendo dal patriarca Geremia I (1522-1545) nel 1541 il decreto di istituzione come monastero a pari diritti con gli altri. Dopo un lungo periodo di prosperità, decadde e rimase spopolato al tempo della guerra d’indipendenza greca (1821). Nel 1968, popolato da nuovi adepti, passò al sistema cenobitico ed è ora in fase di espansione. Il katholikòn conserva preziosi affreschi di Teofane di Creta e di suo figlio Simone; affreschi della stessa scuola si trovano anche nel refettorio. Raro cimelio è l’icona di San Nicola (detto Stridàs), finissimo esempio di mosaico dell’XI secolo.

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XENOFONTOS

Monastero a statuto cenobitico (dal 1780-1785), dedicato a san Giorgio (23 aprile). Fondato all’inizio dell’XI secolo dal santo monaco Xenofon (Senofonte) da cui prese il nome. La biblioteca possiede 163 manoscritti, la maggior parte su pergamena. Ne dipende la skiti dell’Annunciazione, che si trova più in alto. Le prime costruzioni furono dovute alla munificenza di Basilio II. In seguito Stefano, ammiraglio di Niceforo III Botaniate (1078-1081), si fece monaco col nome di Simone. Divenuto igumeno, ingrandì il monastero, ma poi gli altri igumeni, giudicandolo troppo invadente, lo deposero. Alessio I Comneno (1081-1118) lo fece riammettere. Nel XV secolo si spopolò e vennero ad abitarlo monaci serbi e bulgari. Si riprese nel 1785, quando il patriarca Gabriele IV (1780-1785) lo restituì allo statuto cenobitico. Nel 1817 gran parte del monastero fu distrutta da un incendio. Gli edifici attuali risalgono alla ricostruzione del secolo scorso. Il katholikòn fu sostituito agli inizi dell’800. Di antico rimane il vecchio katholikòn con affreschi di Antonios (XVI secolo) e la cappella di San Giorgio con affreschi della scuola di Teofane di Creta. Tra i cimeli ricordiamo due grandi icone a mosaico del XII secolo, che rappresentano i santi Giorgio e Demetrio.

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GRIGORIOU

Monastero a statuto cenobitico (dal 1840), dedicato a san Nicola (6 dicembre). Fondato nel 1345 da Gregorio il Siriano, che fece le prime costruzioni dove Gregorio Sinaita pochi anni prima aveva radunato la prima comunità dei suoi discepoli. Di qui il nome del monastero, che ricorda i due fondatori. La biblioteca conserva 163 manoscritti, la maggior parte su pergamena. Il monastero è situato su una roccia da cui si domina il mare, sul versante occidentale della penisola. La costruzione originaria fu totalmente rifatta dal voivoda di Moldavia Stefano il Grande verso l’anno 1500, ma nel 1761 un incendio distrusse quasi tutte queste costruzioni, che furono sostituite negli anni successivi, Anche il katholikòn fu ricostruito nel 1779; è noto il nome dei pittori che lo hanno affrescato: Gabriele e Gregorio di Castoria. Vi si venera l’icona della Madonna Galaktotrofusa, cioè allattante. È un tema raro nell’iconografia bizantina e forse di origine italiana; tuttavia esso si trova nell’antica iconografia copta.

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ESFIGMÉNOU

Monastero a statuto cenobitico (dal 1796-1797), dedicato all’Ascensione di Cristo (40 giorni dopo Pasqua). Fu fondato all’inizio dell’XI secolo e ricostruito subito dopo l’incendio del 1534. Il suo nome è variamente spiegato. Potrebbe indicare la sua posizione, quasi “schiacciato” (esfigménos) tra due colline. Oppure era l’appellativo dell’ignoto fondatore (stretto dalla cintura). La biblioteca custodisce 233 manoscritti, di cui 60 su pergamena; vi si trovano anche manoscritti bulgari. La tradizione che fa risalire l’origine del monastero all’imperatrice Pulcheria, sorella di Teodosio II (414-450), forse ha fondamento se riferita a Pulcheria, sorella di Romano III Argiro (1028-1034). A Esfigménou fu igumeno San Gregorio Palamas, famoso per il suo fondamentale contributo alla teologia ortodossa. Degni di nota fra i cimeli sono l’icona del Salvatore in mosaico del XII secolo e un menologio (calendario dei santi) dello stesso secolo ornato con sessanta miniature. Una curiosità è un tessuto appartenuto a Napoleone, parte della tappezzeria della sua tenda da campo.

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AGHIOU PANTELEIMONOS (ROSIKON)

Monastero cenobitico (dal 1803), russo, dedicato a san Panteleimon (27 luglio). Fondato nel X secolo ma rifatto nel XVIII-XIX secolo. La biblioteca possiede 1027 manoscritti greci e slavi, di cui 99 su pergamena. Dal monastero dipendono le skite della Nuova Tebaide e di Xylùrgu (o Bogoròditsa, “la Madre di Dio”, perché dedicata alla Dormizione di Maria). Il grandioso monastero, non circondato da mura, sorge sul versante occidentale della penisola vicino al mare. Le costruzioni sono del secolo scorso, grandiose e funzionali ma non pittoresche. La storia del monastero è alquanto movimentata; eccone le fasi principali. Nell’XI secolo i monaci russi occupavano un piccolo monastero che ora è la skiti Xylàrgu (1030 circa). Nel 1169 la comunità dell’Athos donò ai russi (e altri slavi) divenuti numerosi il monastero (già esistente dal X secolo) di San Panteleimon. A causa dell’invasione dei tartari in Russia, l’afflusso dei monaci russi cessò (1237) e i monaci serbi ne presero possesso fino all’invasione turca, che distrusse il regno di Serbia (1417). Dal 1480 al 1735 la Russia riprese a proteggere il monastero, inviando numerosi monaci. Ma poi la guerra russo-turca (1734-1739) creò grandi difficoltà. Dal 1735 al 1821 il monastero divenne idiorritmico e puramente greco, sostenuto dai principi fanarioti della Valacchia e della Moldavia. Uno di costoro Scarlatos Kallimachis fece costruire il nuovo katholikòn negli anni 1812-1821. Intanto nel 1803 il monastero passò alla riforma cenobitica. Dal 1821 prevalse la protezione russa; nel 1888 venne costruita la splendida chiesa di stile moscovita dedicata alla Protezione della Vergine, nel 1892 l’enorme refettorio, nel 1899 la grande chiesa della skiti di Sant’Andrea. Nel 1903 la metà dei circa 7000 monaci che formavano la popolazione dell’Athos era costituita da russi. Con la rivoluzione del 1917 cessò l’afflusso dalla Russia di monaci e di mezzi e il monastero andò spopolandosi. Nel 1968 un furioso incendio distrusse sei cappe, parte della foresteria e tutta l’ala est del quadrato centrale. Data l’origine recente delle costruzioni, a parte i manoscritti, non vi sono cimeli antichi.

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KONSTAMONITOU

Monastero a statuto cenobitico (dal 1799), dedicato a santo Stefano Protomartire (27 dicembre). Fondato nell’XI secolo. Il nome è variamente spiegato. L’ignoto fondatore proveniva da Kastamoni, nell’Asia Minore. Oppure apparteneva alla famiglia bizantina dei Kastamoniti. Leggendaria è l’attribuzione all’imperatore Costantino. La biblioteca conserva 110 manoscritti. Il monastero, posto all’interno in una valle boscosa e quasi affondato nella vegetazione, è piccolo ma grazioso. Il katholikòn restaurato nel 1860 non è affrescato. Decaduto nel XVIII secolo, si riprese lentamente e, anche in grazia degli aiuti provenienti dalla Russia, poté essere decorosamente restaurato.

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Pubblicato originariamente in: http://digilander.libero.it/ortodossia/Oros/Athos.htm

 

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